Quella di Cinzia Demi è una poesia fortemente scenica che non teme di usare la parola per definire luoghi, tempi e rapporti fra gli esseri umani, partendo da una capacità estrema di sovrapposizione tra autore, lettore e personaggio in un gioco di confronto e rispecchiamento continuo che non può che tradursi in un fortissimo coinvolgimento. Allo stesso tempo l’abilità e perfino l’opportunità che la poesia pretenda di raccontare viene continuamente messa in discussione, per essere superata grazie ad un linguaggio controllatissimo, che utilizza tutti gli strumenti metrici e retorici della tradizione, pur risultando assolutamente attuale. Una poesia nella quale l’elemento femminile assume la forza di una perseveranza nutrita di valori incancellabili. In essa il mito si fa incanto proprio perché alimentato da una umanità vitale che scorre in una dicibilità aperta verso l’universalismo, senza per questo rinunciare al proprio della lingua poetica. Per Cinzia Demi il veicolo privilegiato, e forse l’unico ancora valido, per spiegare un improbabile che sfida continuamente i confini dell’impossibile: quello di una “favola” che assurge al rango di verità riconquistando ogni giorno il cuore degli uomini.
Commento critico di Andrea Tavernati
BIOGRAFIA
Cinzia Demi, nata a Piombino, Livorno, lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. È operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige le Collane di Poesia per Pendragon, Minerva, Il Foglio. Cura per il sito italo-francese Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Per l’Università di Bologna collabora con il Centro di Poesia Contemporanea. presidente dell’Associazione Culturale “Estroversi”. Numerose le sue opere poetiche, spesso portate anche in forma drammatica su numerosi palcoscenici italiani. Fra queste le più recenti sono: Ero Maddalena e Maria e Gabriele, l’accoglienza delle madri.
[…]
mandami ancora un abbraccio
nello spazio tra l’onda e lo scoglio
nel minuto esatto che passa
dal rinfrangersi del mio ricordo
al tuffo malioso della sera
mentre provo a fermarti con la mano
fissa il mio tempo nel riflesso del faro
al tuo profumo di alga bagnata
laggiù nella punta protesa sul canale
dove tendi le tue braccia all’isola
che non si allontana se la discesa
un po’ frena nel levigato dirupo
pensa che non può essere
solo nostalgia dell’età che è finita
pensa che la strada che porta a te
è una sola e solo si affronta per te
ci si deve venire a vederti
ci si deve venire a capire
quanto conta la tua impronta
quanto rimane dell’essere nati con te
e invidiare il gabbiano che si posa
sul marmo del tuo liminare
che estende le ali per circumnavigare
da scoglio a scoglio la tua deriva
sono viva in questa piazza che
non è più la mia e nell’ondeggio
delle barche in ormeggio al Porticciolo
di Marina trovano culla tutte le volte
dei mancati approdi dei luoghi dove
non sono stata dove la prua si è arenata
non tornare più magari ci provo
a lasciar scivolare quest’acqua di sale
nel fondale dei giorni già nuovi
a issare le vele e a volare
a trovare casa lontano
dal tuo maestrale a non salutare
quel sole che rende
il tuo manto prezioso eppure
ti penso e nel tuo nome
sepolto sotto agavi in fiore
miele di fico e belle di notte
ritrovo le rotte del mio camminare
Maria
fu una giornata di primavera
aveva il sole nelle vene
e accadde
come doveva accadere
al mercato volevo un vestito
da sposa cercavo tra i pizzi
e le stoffe
tra le goffe signore dei banchi
cercavo annusavo un ricamo
una piega un orlo un intaglio
bagnato di fiato
di seno che allatta
m’infilavo una veste
provavo un cappello
nello specchio vedevo
il cielo farsi acquerello
[…]
lo volevo ricco quel vestito
che si facesse vela condottiero
per Giuseppe un marito
che sa accarezzare
la nuca e la guancia
che sa guardare
oltre la mia giovinezza
un falegname guerriero
che plasma la quercia
e torna a donare un giglio
un marito
con cui pensare un figlio
e costruire una casa
di pietra e sabbia
odorosa di malva e ginestra
una finestra sul cielo di Nazareth
[…]
i miei occhi bassi
per un attimo su di lui
persi già i suoi
nel verde dei miei
contavo i passi dalla sua casa
i giorni contavo dall’essere sposa
dal rito felice
e l’allegria del paese
le preghiere più veloci al mattino
per accogliere il sole nuovo
più lente alla sera mischiate
ai ritornelli d’amore
non aspettavo nessuno
alla mia porta sempre aperta
entrava solo la luce
quel giorno più invadente che mai
[…]
ma ecco si accende
la tua voce in verità
non ti conosco
ma certo ti ho sognato
immaginato pensato
da bambina nel tempio
inginocchiata sulle preghiere
della prima devozione
ora mi colpisce
il tuo parlare piano
il tuo aprirti a me piccola serva
a me che ascolto
e abbasso la testa
per te una liberazione
un’indecisione che straripa
per me un’Annunciazione
Gabriele
fu una giornata di primavera
aveva il sole nelle vene
e accadde
come doveva accadere
sulla Terra c’ero già stato
solo di passaggio nell’ombra
quasi senza volto
solo con questa luce
che mi porto dentro
che compare
a sfumare i miei orizzonti
nei giorni degli annunci
poi via com’ero venuto
in un attimo sparivo
tornavo nei cieli della gloria
senza storia dai miei compagni
[…]
sorridere a una ragazza
e bere fuori dell’osteria
un boccale di vino
vicino mi sentivo vicino
a quel clima gioviale
a quell’allegria di un’età
che era mia senza
cagione senza missione
un tuffo nelle strade
le contrade sgranate
al respiro bancarelle
miele frutti bagliori di pietre
serpenti danzanti
ero goffo e confuso
con le tempie pregnanti
per l’incedere veloce
[…]
gioire di un sorriso una parola
almeno una volta una sola
essere parte di questo proscenio
marciare col passo riposato
senza fretta verso il peccato
a cui m’inchino nell’epifania
del mio turbamento
feriale il cammino voglio
riprendere il cammino
raggiungerla intenta forse
a sfogliare verbena
petali a lenire quali
presagio di cicatrici future
maturato erbario per
la sua sorte per un Calvario
livido di morte
[…]
- un marito hai un marito
promesso - io intanto
ti guardo di porpora
il volto come la stoffa
del tuo ricamo
ti rifletti e sei una rosa
nell’acqua del bicchiere
che mi offri come poca cosa
insieme al pane
di cui hai piene le mani
forse hai paura
tremi anche tu come me
mi chiedi chi sono
- no Maria parlarti non è
liberazione è un’Annunciazione
che non vorrei farti –
[…]
Come un Magnificat
l’anima mia magnifica il Signore
queste parole e queste sole
mi vengono in mente adesso
che seguo il cammino di Giudea
là mi attende Elisabetta
anche lei madre come me
unita da un annuncio
unita a nuova vita
non mi spaventano
le alture samaritane
perché vado in aiuto
di chi si è assopita
cedendo a nuovo fiato
di chi si è aperta come me
al figlio inaspettato
al figlio bianca brina
[…]
costruirò un santuario
di preghiera
anche per chi negli occhi
ancora non ce l’ha
sedurrò con la lode
senza chiedere
alla crisalide antica
una riposta certa
reincanterò la vita
con lo stupore
di un nuovo sguardo
ricolmo di mistero
dal sole e fino a sera
dalla tenerezza
alla prima fioritura
sarà meraviglia di dono
[…]
sapremo accogliere
ancora col nostro sì
farci lanterna
mostrare e insegnare
ad abitare la terra
a stare accanto
alle croci infinite
ad arrampicarci
sui muri della vita
saremo l’amore
che riprende a volo d’aquila
e dorato risale
sopra la notte buia e il bacio
s’inginocchia alla cometa
ne segue la scia plasma
la creta d’una avverata nascita
manca ancora molto all’alba
e vorrei che la notte non finisse
vado in controtendenza adesso
è più forte la voglia di ombre adesso
la luce mi acceca
nella notte ritrovo il cuore
del mondo
il cerchio di fuoco acceso
dentro cui buttarsi
per sparire nel rosso
e rinascere
come terra da amare
*
sono fragile nel segno della mano
nei tratti arteriosi
delle finestre accese
posseggo un solo ricordo
misuro un solo cammino
vado anch’io come un’ombra
slanciata nel fragore del tuono
dio, se la morale
fosse un umore carnale
se si potesse mischiare
col riverbero a pelle
di voluttà di carne di ardore
*
Bologna mi accoglie
potente nelle sue strade
a quest’ora quasi senza gente
un vento di ponente
deciso mi ha spinto
nella sua direzione
scalza come un bambino
nuda di consolazione
cerco l’antro di un portone
o la fredda scala
la balaustra di una chiesa
il riparo di una prigione
*
mi avvolgo nei miei capelli
come api nell’arnia cenere e acqua nell’urna
ed è miele che cola dal pianto
se ti guardo città nel viale
squarcio di foglie impazzite
rinverdite al lamento
torno indietro alla mela acerba che fu
e a quegli occhi di sirena di donna sola come il silenzio come la pena
***
è un nome che cerco che esca da quella porta sbattuta
che mi si appiccichi addosso
come la creta sul palmo e sul dorso
pesante delle sue mani
come la voce che grida
falena di schianto nel pianto
che accoglie la medesima
tortura la bestia oscena
che poi mi accarezza mi tenta mi dice rimani
*
domani sarà diverso domani
è un nome che cerco
che esca dalla finestra socchiusa
che asciughi il mio sangue
dal collo mi sfiori
il livido azzurro di guancia
si stenda con me a parlare
con un manto regale
mi copra il petto e la schiena
oh, appena un’amica mi basta
un complice sussurro
contro il male che devasta
[...]
Diventa mio padre, portami
per la mano
dov’è diretto sicuro
il tuo passo d’Irlanda.
Giorgio Caproni, Il muro della terra
c’è un’erba più verde
bagnata come pianto
in questa primavera
sembra il canto
dei tuoi giovani anni
figlio dei vent’anni
figlio dei giorni bui
piovosi
e dei cieli immensi
subito sereni
luminosi da non guardare
figlio che non inganni
figlio degli affanni
e del tempo che ride
beffardo e per incantamento
nell’azzardo
ti porta altri orizzonti
figlio dei tramonti
figlio degli incontri
figlio tra la gente
come pietre di sorgente
acqua smarrita
ma donata ritrovata
figlio della vita
anch’io mi sono vestita
di verde
ma più chiaro
come il giorno
che Maria ti sorrise
che ti mise nelle mie mani
figlio del domani
che ancora stringo
in un abbraccio
che non so lasciare
non mi rimproverare
figlio che devi andare
Cappuccetto Rosso
perché quel mantello rosso
perché proprio nel bosco
e perché quel lupo ti attirò
t’incantò col suo fare così losco
non bastarono della mamma i consigli
i sospiri della nonna
i forti battiti del cuore
a fermare l’ardore
stregata dai suoi occhi
da tutto quel calore
dall’odore selvatico
il viatico iniziasti
della più̀ nera perdizione
maledizione alla morale - mi piace non può far male -
pensasti ormai rapita
non è questa la vita
non è forse un’occasione
eri già̀ tra le sue braccia
o zampe dovrei dire
tra le sue fauci finita
addormentata per sempre
in un boccone scordata
ti trovò il cacciatore
bianca accovacciata
nel lenzuolo di seta
di rosso solo un lembo
fra le cosce e il pianto fermo
***
Pinocchio
c’era freddo quel giorno
il freddo di sempre sotto i vestiti invadente a strappare il berretto
di mollica a Pinocchio
- stupido cielo stamattina
che t’accanisci su di me -
disse quel legno dal mondo parallelo
burattino
o bambino
alla pianta di corsa sarebbe ritornato o a casa dal suo babbo - ah, non fosse mai scappato -
ma la corsa
era alla morte
poteva sempre entrare
da tutte le sue porte con lutti di bambine e catene e impiccagioni
e fritture
e annegamenti
e poi tutti quei padri da Mangiafuoco ai ladri e ancora gli animali e quanti
da soma da lavoro da circo
da galera
consiglieri petulanti
e in bocca al pescecane
un buio sempre più̀ fitto
rigurgiti di pesce e un vecchio zitto zitto
è lui Mastro Geppetto
- Oh, padre a casa ti posso riportare -
e il naso gli scompare il legno si fa carne ora
non è più strano
la Fata gli può dare le vesti sue d’umano ma è un Cristo ancora in croce
che impone la sua voce
povertà̀ per vanità
è il prezzo da pagare
[...]
quando lavoro fino a tardi Maria
quando esco in quella poca luce
azzurrina della sera con i pensieri confusi
con gli occhi stanchi socchiusi
non sempre ti penso Maria
Maria mentre vado di corsa
verso l’autobus che scappa
rovisto il frigo per la cena
ripasso l’area per mio figlio
e il compito di geometria
non sempre ti penso Maria
Maria mentre asciugo le lacrime di mia figlia
sempre distratta, innamorata
impaurita come me che cerco d’insegnarle la via
non sempre ti penso Maria
Maria quando vedo mio padre soffrire mia madre invecchiare le mie mani perdere forza
la mia voce melodia
non sempre ti penso Maria
ma se il tuo sguardo mi prende Maria
sull’altare o per la via il tuo sguardo di ragazza troppo presto e troppo amata
sento a pelle l’ebbrezza la tua bellezza nel tempo fermata
e capisco Dio Maria che da te è voluto nascere
che con te è voluto crescere
Tu che sei il capolavoro
della sua grande regia
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