top of page

Sulla poesia di Bruno Galluccio


esercizio lungimirante

fare calcoli sulle parti

riflettere su rimanenze

addentrarsi tra le parentesi

(sospendendo quel che premeva fuori)

e dire così addio all’eden degli interi

e impariamo che non possiamo sommarci subito

ma dobbiamo prima denominarci comunemente

conoscere la minima essenza condivisa

che ci moltiplichi

GEORG CANTOR MATEMATICO

entrava nella giornata fresca arco dell'oscurità

non voleva più pensare che quei simboli fossero

il suo spazio mentale

e i confini il vederli cadere ad uno ad uno

generando conoscenza

ero arrivato da lontano separandomi dalla musica

di fronte sugli scaffali

riposava la pazienza degli aristotelici

divampavano promesse

sui tetti segreti di Goettingen

non badava al mondo se non per lettera

agli studenti dall’attenzione sospesa

ai maestri calati giù via via nell'ombra

in lui l’attrazione per ciò che si misura

Fourier era già passato di lì e il suo passo grave

l'irrazionale ha fatto breccia nella mia vita fino all'osso

fino a far calare tende lungo le pareti

e attutirmi i clamori troppo fini

e in uno dei giorni senza orizzonte

tracciando la diagonale dei razionali

gli apparve la gerarchia delle infinitudini

il luogo fresco giardino di algebre

la potenza e l’aleph

il confronto terreno fra infiniti

e perdonò dio della mancanza di completezza

era l’infinito che mi apparve così vicino

la mia una sorveglianza indiscreta

risalivo arrampicandomi

lungo le pareti delle potenze

dominando i volti e i cantieri

mi dava soprassalti

la terra rimessa a nudo

tra quei due poli l'aleph e il continuo

non so se c'è il niente posso solo supporlo

si saprà prima o poi

certo che si saprà

ancora non può abitare la casa dell’indecidibile

ma nemmeno sa che diranno suo il paradiso

e fissa il guscio degli anni che ha impiegato

e ripensa a come la sua supposizione resterà in sospeso

al suo adagiarsi sul fianco dentro il freddo

verso le caverne della terra

e l’orbita arde

come per l’astronomo

ma a me che ho lasciato le case

l’astrazione rode il riposo e libera i confini

mentre aspirerei a dei contenitori adesso

ora Shakespeare sussurra

la sua innocenza dietro le porte

e i simboli gli restituiscono i luoghi dove sta andando

elargendoli a contagocce

nella ritrosia di mani e di conferenze

perché certo ora quei tetti d’incendio sono lontani

perché è solo per l'ennesima disputa che siamo sbarcati

non credo eppure

tutta la mia misera sabbia si va depositando

nei luoghi togati

e le ceneri che mi portano fin qui

hanno massa sfuggente

non è questo incontro se pure mai c'è stato

non è il padre che mi sostiene,

semmai la discontinuità nella tragedia

ma ora si spengono le luci nei corridoi

e i brividi si stringono sotto i letti

il tempo è incerto né pioggia né futuro

riesco ancora a riconoscere la mia porta

la geometria ha i suoi sogni e la sua fame

la matematica di altri mondi germinata

nel recinto della meditazione umana

come quando Lobacevskij si mosse

verso un rigore visionario

e rifondò l'assioma di rette parallele

creò per noi orocicli e orosfere

dal confine finito e irraggiungibile

il vuoto sempre un enigma e un mito

abitante con orrore delle prime

domande infantili sull’universo

quando uscire dalla casa è pensiero

e l’oltre era segnato

dall’incubo dell’abbandono

e quel vuoto sembrava proprio

lí fuori di casa in agguato

un agguato lontano e incombente

un allontanarsi da cieco

o muoversi senza ragione

abbandonando i punti cardinali

oggi sappiamo che il vuoto non esiste

ci sono ovunque fluttuazioni quantistiche

ovunque perturbazioni di campo

che fanno apparire fotoni o materia

perché anche qui lo zero

è una funzione fantasma

un valore esatto che non si può raggiungere

morire non è ricongiungersi all’infinito

è abbandonarlo dopo aver saggiato

questa idea potente

quando la specie umana sarà estinta

quell’insieme di sapere accumulato

in voli e smarrimenti

sarà disperso

e l’universo non potrà sapere

di essersi riassunto per un periodo limitato

in una sua minima frazione

il modello standard si muove

in contemporanea in molte menti

prende dal curvarsi del tempo

e dello spazio in prossimità dei soli

prende dai bosoni messaggeri

delle forze deboli e forti

da quelli di Higgs che confermano che abbiamo peso

esplora la superficie avvizzita delle nane bianche

e le rotazioni collassate dei pulsar

questo modello umano si sporge verso gli estremi

e trova radici nei calcoli e immagini

generate dalla vita terrestre

si alimenta delle tracce di particelle e collisioni

e dell’analisi del rumore di fondo dell’universo

l’uomo delle notti di stupore

si china ora ad esaminare i dati raccolti

dagli strumenti estensioni del suo corpo

il modello scende attraverso rivoli

verso un cerchio concluso

il big bang risplende sulle equazioni

come lo zero singolare

come uno zero che non ha misura

trafitti dalla costanza della luce

ripensiamo i nostri moti relativi

la solitudine è sul carrello in movimento

che ci porta lungo lo spazio

non piú indipendente

la distanza della sera

si dilata e contrae

in un tempo in cui scopriamo la bellezza

di equazioni simmetriche

andiamo riconoscendo il flusso normale delle cose

gli sbarramenti e più in centro la possibilità di perdere

le formule hanno sviluppato le incognite

anche quando la sera è un raduno di maschere

i neutrini messaggio delle supernove

attraversano incessantemente il corpo

e il cervello

ma non per questo le onde cerebrali

vengono mutate

né muta la nostra visione del mondo

muta l’occhio che davanti alla fuga

dell’acceleratore trova conferma

di questa strana materia quasi priva di sostanza

e poi sente l’emozione che il tutto

si svolge come era stato intuito

si dispone in un quadro coerente

l'anello di accumulazione

come cerchio del mondo

la fioritura metallica dei neuroni

nei rami di insofferenza al presente

i primi tre secondi

si propagano ancora nella radiazione

forse non sopravvivono

nel nostro DNA ancestrale

ma di certo li cerchiamo

nel nostro bisogno di origini

urla nella festa dei fasci collimati

dove collisioni sono generate da collisioni

particelle nascono da particelle

poi liberi affrancati

sottratti a collaborazione ancestrale

all’obbiettivo sottile si lasceranno

dimessi migreranno verso altri agglomerati

oppure tentati come in principio al caos

non più cellule messaggi in DNA cifrati soltanto

idrogeni ossigeni carbonii


il sistema di riferimento del no

sull’asse x porta il soggetto

su quello discendente il verbo

riflesso nello specchio

sul terzo trae il peso del tempo

data una sfera nella luce nera

quanto dista il suo centro dall'origine?

fermi e isolati notiamo dissonanze

e poi torniamo a casa all’ora

*

la materia della mente riallinea i suoi corpi interni

costruisce incrinature di domande

perché l’esiguità di antimateria?

perché tanta la materia oscura

narrata dalla velocità delle galassie

dalla rotazione delle stelle al loro interno?

regole altre che nel grande vuoto ci portano

e ci lasciano

*

quel che non possiamo conoscere

entra nelle formule

il nostro osservare non è innocuo

gli stati di materia sono possibilità infinite sovrapposte

quando guardiamo ne scegliamo una

*

immersi nel tempo ne indaghiamo l’inizio

curvatura e fluttuazioni di campo

smussano un inizio singolare

le storie-universo sono superfici chiuse

*

vanno male le cose nel fondo nero della battaglia

particelle messaggere e apparentamenti strani

le famiglie che dilagano

ma siamo davvero attratti dai corpi

abbiamo peso

*

un magma cosmico è il portatore di massa

si raggruma in un nuovo bosone

ne ascoltiamo l’eco ripido nelle collisioni

abbiamo bisogno di dimensioni aggiuntive

arrotolate in se stesse

a meno di evasioni occasionali

*

così tanta parte dell’esistente si sottrae

mentre nutre la nostra meraviglia

PITAGORA

Il respiro della notte è onorato

ora va ad attenuarsi lo splendore degli astri.

Pitagora dorme.

Il paesaggio lo assiste

lo accompagna nello scendere cauto su rocce

in vista del mare.

Il sonno ci viene dagli alberi

il respiro dalla luce

che attraversa una lieve fenditura

e alta si espande.

Tutto è numero egli dice

anche qui nella incomprensibile notte.

È vero: ieri c’è stato uno scatto

di superbia che ha offuscato le fronti.

Ma noi di certo veneriamo gli dei immortali

serbiamo i giuramenti onoriamo gli eroi

come egli ci insegna.

E di solito ci siamo ritirati con modestia

abbiamo cercato di non agire senza ragione

e ben sappiamo come il nostro destino sia la morte.

Il mondo ci confonde

ma noi confidiamo.

Ci asteniamo da cibo animale da fave

rinunciamo a voluttà di cibo e lussuria

e per quanto possibile in pace soffriamo.

Pitagora dorme.

I sogni gli giungono dagli avi.

Ora il cielo è senza disastri

chi è arrivato sa di poter scegliere.

C’è il quadrato costruito sull’ipotenusa

e ci sono i quadrati costruiti sui cateti.

Generare collegamenti è la natura umana più alta.

Dimostrare è possedere

una parte di mondo dopo averla osservata

condividere una regione del linguaggio.

Frase genera frase e il buio si dirada.

Non portiamo fuori la notte

perché di cose pitagoriche sappiamo

non si debba senza lume conversare.

Tutto è serbato nelle nostre menti

e nei lineamenti tranquilli dei volti.

Tutto è numero – dice.

E ci dispone le proporzioni armoniche

dei suoni e degli astri.

Si pone dietro un telo

perché tutto sia nell’appartenenza

come un viaggio di abbandono

o come i nostri inverni ci cercano

il nostro muoverci negli spazi stellari.

E noi gli crediamo.

Che torneremo a dormire e a guardarci dormire

a far scorrere tra le nostre dita

questa stessa sabbia in un ciclo futuro


vedevo sulle pagine

la struttura sistolica delle formule

il semicerchio della parentesi

il taglio delle frazioni

il sigma sistema di sorprese infinite da sommare

la esse allungata dell'integrale

che misura forme non regolari

e i gruppi perfetti nelle operazioni semplici e chiuse

e allora nella luce bianca della scrivania

la proiezione sulle mensole e il letto

diventare una geometria proiettiva della stanza

e la mia attenzione un fascio aggiuntivo di luce

posato sulle pagine che scorrevano

e uscivo dalla selva dell'incomprensione

per avventurarmi verso le figure dei pianeti

probabilmente in una stanza diversa

ci sembrerà di ascoltare le stesse voci

e un respiro nella notte sarà tardissimo

*

solo rivedendo la forma

avremo spiragli sui possibili

per tutti i treni perduti

gli orari mai consultati

*

prendere infine in prestito qualcosa

dalla libreria delle stagioni

con le storie che si erano ammonticchiate

mentre si decideva

*

così le cellule del viso i loro attimi

la sincronia tesa col verde

con la modestia dei cespugli

*

lungo le tue sillabe

lievita la tua stanza

levighi il tuo senso del tempo

*

e mentre lo dicevi cadevi nel vuoto

 

Bruno Galluccio è nato a Napoli dove tuttora vive. Laureato in fisica ha lavorato in un’azienda tecnologica occupandosi di telecomunicazioni e sistemi spaziali. Il suo primo libro di poesia è “Verticali” (Einaudi 2009), cui ha fatto seguito “La misura dello zero” (Einaudi 2015).

144 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page