

Io ad Istanbul non sono mai stata e tantomeno nella stanza imbottita di ricordi di Carlotta: ma qui ho già detto due bugie.
Dopo aver letto questi due componimenti infatti posso orgogliosamente dire di aver visitato entrambi i luoghi. Sì, potreste anche indagare la mia coscienza: vi risponderei che a Istanbul i venti soffiano sogni tra i mercati, che Istanbul è un fiore blu, pronto a socchiudere i petali alle prime luci dell’alba, che questa città ha sfidato il mare e ha sfidato i mondi, che sa cantare, che ha una voce e un passato da raccontare. E io, a Istanbul, non sono davvero mai stata. Però ho letto le poesie di Carlotta, questo sì, e ho visto dentro alle sue parole i suoi occhi e dentro ai suoi occhi ho visto Istanbul e dentro Istanbul ho visto un cassetto colmo di sogni chiuso, nella sua stanza. Un gran bel viaggio.
Il punto che secondo me tiene legate queste due lunghe poesie di brevi versi è lo sguardo: la capacità di dare al lettore la visione del poeta. Non è una dote da sottovalutare, perché la poesia è sì ritmo, ma è anche panorama. È tanto udito, quanto vista.
Non possiamo parlare propriamente di forma chiusa per descrivere queste due poesie, che sembrano voler riprendere le sperimentazioni ardite del primo Ungaretti, richiamandosi alla magia della parola che da sola occupa l’intero verso. Un verso = una parola.
Eppure non mancano dei meccanismi più propriamente lirici: intanto la suddivisione in strofe di cinque versi ciascuna, con uno schema ordinato e preciso, poi una varietà metrica non più di tanto varia, che, ad esempio, supera difficilmente il settenario.
La poesia di Carlotta, insomma, non mi sembra estranea all’orecchio musicale che immancabilmente necessita di essere presente se di poesia vogliamo parlare. E quindi tanto merito aggiunto alla sua straordinaria resa visiva.
Ma parliamo anche della sua stanza, da dove Carlotta scrive la sua poesia, forse senza sapere sul momento che io, e voi lettori con me, l’avrei assaporata. Tanto per cominciare, questa poesia non ha titolo: inizialmente ho pensato di chiedere alla poetessa se volesse aggiungerlo in vista della pubblicazione, ma poi ho deciso di astenermi dalla richiesta. Emily Dickinson, tanto per fare un esempio, non ha mai intitolato le proprie poesie e certe poesie non hanno bisogno di titolo. Questa poesia non è da meno.
Se in Istanbul uno schema strofico e metrico era intuibile, qui Carlotta decide di lasciar perdere gli schemi e di lanciarsi in una poesia che è puramente verso e strofa liberi. Eppure, se proverete come ho fatto io a leggere la sua poesia ad alta voce, (che poi, secondo il mio parere, è solo nel suono vivo della parola che una poesia vive davvero), scoprirete che un ritmo c’è, eccome se c’è, ed è nascosto in allitterazioni timide, in rime interne che non si palesano all’occhio, ma che all’orecchio non possono fare altro che rivelarsi.
Questa strofa ne è un lampante esempio: “Mille volte mille metri/ sotto un mare/ di silenzio,/ senza pesci/ solo bolle/di respiri trattenuti.” È un po’ scioglilingua, un po’cantilena nostalgica e riesce anche a funzionare splendidamente come quadro poetico. La leggo e vedo le bolle fuori dalla finestra della stanza di Carlotta, mille metri sotto al mare, in quella stanza verde, imbottita di ricordi.
Forse Istanbul ha poco a che fare con le sensazioni che vi ho descritto e la stanza di Carlotta è quanto di più lontano ci sia dall’immagine che si è formata nella mia mente, ma quello che conta qui è che le poesie di Carlotta hanno spinto la mia immaginazione a creare, le mie sinapsi a lavorare per formare quadri di luoghi che ormai hanno sede nella mia mente di lettrice.
Vi auguro che lo stesso avvenga per voi e che le parole di questa ragazza si impossessino tanto della vostra voce quanto della vostra immaginazione.
Istanbul
Aspetto
di vedere sorgere
sul Bosforo
quel ponte
che cancella il mare
Tra i petali
di una rosa
dei venti impazzita
Est... Ovest
Né parole, né segni
Sogni
nei miei occhi
che si specchiano,
nel ventre vorticoso
di Istanbul
Cangiante di lampade
ad olio, nei mercati
affollati che risuonano,
come una Pentecoste
convertita.
All’ombra di
titaniche moschee
Istanbul
si schiude
come un’alba.
Aspetto
mentre Istanbul
danza su note
sconosciute, di
sinfonie segrete.
Istanbul ha gli occhi
chiusi e navi
ormeggiate al porto.
Istanbul ha tanti cassetti
e troppi sogni.
Nelle vie si perde
la malinconia
di un passato sgretolato,
come mura abbandonate
di città perdute.
Ad Istanbul
ho visto una bambina
danzava ad occhi chiusi
su quel ponte
che cancella il mare.
Sono chiusa
in una stanza
senza cielo,
con finestre
verde bottiglia
e pareti imbottite
di ricordi.
La mia voce
è un filo,
appeso alla speranza.
Mille volte mille metri
sotto un mare
di silenzio,
senza pesci
solo bolle
di respiri trattenuti.
Sono chiusa
in una stanza
che non c'è.
La pressione
schiaccia l'anima
nel corpo,
appeso al filo
di una voce
che nessuno ode.

NOTA BIOGRAFICA
Carlotta Sinigaglia, nata il 13 giugno 2000, frequenta il quarto anno di liceo classico presso il Liceo Alessandro Volta di Como. Amante del teatro e della parola, scritta e parlata.
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