a Laura Cecilia Garavaglia
"In mezzo al cammino, da Dante alla nostra origine ogni passo è diverso."
Nessun poeta, prima di scrivere il primo verso, si chiede cosa sia la poesia. Scopre man mano ciò che essa esige da lui e come lui le risponde. Il lavoro in poesia è paragonabile a un parto interminabile, nella sofferenza e nella gioia. Per questo il giubilo e il lutto sono toni fondamentali, commisurati alla preoccupazione e all'urgenza che abitano il poeta, ogni volta, nella sua decisione.
Se le lingue vernacolari conoscono degli slittamenti di senso verso il canto e la salmodia, hanno anche ereditato le percezioni legate alla poesia e ai suoi derivati in relazione al verbo greco che significa fare, creare. Si applicava sia all'artigiano che all'artista. Né l'aedo Omero né i Tragici sono ancora poeti nella linea formalizzata dalla metafisica come imitazione della natura e appropriazione della parola. Le interpretazioni latinizzate accentueranno l'uso della lingua come territorio da conquistare. La dottrina cristiana, da parte sua, influenzerà le opere d'arte con il dogma della creazione.
Tutte queste influenze porteranno alle esplosioni moderne e secolarizzate della produzione, nell'orizzonte della soggettività. La letteratura non sarà esente da questa dinamica. Oggi non è raro che la poesia sia intesa come una tecnica di fabbricazione del linguaggio. Così nel Futurismo e nel Surrealismo, e ancor più nella ricerca di una nuova retorica spesso imbrigliata dalle ideologie della realtà e dell'esperienza.
Dove si può trovare la poesia per sfuggire, per un breve momento, alla saturazione dei metodi di scrittura e restituirla alla semplicità della sua parola circoscritta dal silenzio in un ritiro che è anche la sua condivisione? Quando scavalca il rumore e il furore dell'attualità, la poesia si colloca sia al di sotto che al di là della storia lineare per affrontare gli abissi dell'esistenza. Due fari per guidarci. Ci voleva un uomo che viene dalla tomba, Paul Celan, perché la poesia, la rosa di nessuno, perché si osasse poesia dopo le mostruosità e le oscurità del XX secolo. E Reverdy, nella sua intervista radiofonica del 1952 con Breton, e Ponge. Interrompe il treno delle rappresentazioni dominanti per dare alla poesia il suo posto inaugurale, ben prima dei dogmi religiosi, dei fondamenti e delle mobilitazioni istituzionali.
In questo inferno dantesco che sta devastando il pianeta e riducendo l'uomo a un organismo disponibile alla fusione con la macchina, la poesia non è forse la breccia attraverso la quale ci troveremo di fronte alle stelle? Quelle che brillano con discrezione vicino al cuore di ognuno, non quelle già appuntate con la corsa a capofitto delle conquiste. Perché il cammino di questi poeti peregrini è ogni volta unico, senza inizio né fine, senza la volontà di prefabbricare il linguaggio per ridurlo a un prodotto di consumo quotidiano. Al contrario, il desiderio della scrittura poetica lo cima, lo pota in modo che la luce e l'ombra si muovano in piena chiarezza verso nuove e libere fessure.
A questo punto dell’esposizione, mi asterrò dal formulare qualsiasi vana definizione di poesia. Posso solo accennare brevemente ciò verso cui mi hanno portato i venti vorticosi della scrittura. Colto dal loro respiro, mi sono esposto al loro incomparabile sequestro, convinto che non venissero dal nulla. Questa non – attribuzione ha alimentato tutti i miei approcci, contro la volontà di potenza e le certezze esibite dalla nostra civiltà. Nella sua incapacità di pensare la negazione e l’ampiezza della sua verità, costruisce un mondo artificiale ed esseri clonati. Ma, come sosteneva Kafka, la negazione è la più alta affermazione dell'uomo. Se sottolinea il carattere incompiuto dell'esistenza e il riflusso del pensiero sul bordo dell'inesprimibile, la stessa negazione impegna Antigone nella sua resistenza alle leggi e ai fondamenti stabiliti.
È negli abissi di questa piega che ho perseverato nella poesia per dedicarmi alla prova del Nulla di cui nulla si può dire ma che non sarà messa a tacere. Ci parla nel suo silenzio senza mutismo per riparare il detto come con la sua oscurità la notte conserva la luce. Non c'è nichilismo nel luccichio di questi paradossi, ma il gioco di un enigma tra le cesure dello spazio e del tempo. Appena si intravedono i suoi geroglifici, si chiude sull'indecifrabile. Così, in ogni momento, la morte e la rinascita, la traccia e la cancellazione della scrittura si intrecciano. Si può amare solo ciò che declina e muore, come suggerisce questo neologismo: Amourir. Esistere significa stare in mezzo a questa contaddizione dove niente mi fissa al proprio posto. Quando scrivo, perdo ogni identità, ogni cittadinanza, non appartengo a nessuna patria,non sono soggetto aa alcun valore cosiddetto universale. La lingua rimane, ma si presenta come la traduzione imprevedibile e non localizzata della propria disponibilità al non detto. L'io, che è altrettanto un tu, non ha qui nessun tratto distinivo. È il segno aperto di un incontro spersonalizzato.
Nella quiete dell'età, si rivela l'incandescenza di sempre. La poesia è questa preghiera da dire nel cuore del vuoto ingestibile a cui ci affidiamo. In ciò che rimaniamo atei, non nel senso volgare e arrogante del termine, ma perché corriamo il rischio di abbandonarci a questo Nulla da cui non siamo, come l'aria che respiriamo, mai separati. Lì si risveglia in noi la dimensione non oggettivabile del sacro. Ci espone all'irrimediabile tragedia dell'esistenza che ci è velata in una società concentrata sui suoi drammi, soluzioni pratiche, attrezzature materiali. Solo il tragico mette l'uomo di fronte, a tempo debito, al lampo della partizione che gli è propria. Dal suo splendore nasce il dio.
Senza dubbio si è annidato a lungo negli ingranaggi, nelle asfissie, nelle catastrofi dei tempi moderni. In attesa di una compiuta de-divinizzazione e sfocatura, uniche promesse di una metamorfosi. Perché gli dei non sono eterni, ma immortali, si trasfigurano da un'epoca all'altra. Credo di non aver mai scritto nulla se non nella prospettiva di questa transizione. Il passo che avanza poeticamente nell'aridità del mondo raccoglie le sue sfide. Questo viaggio è stato talvolta riconosciuto come un enigma cristallino. Senza dubbio per questo incrocio di chiaroscuri, sempre a metà strada tra un passato e un ricordo dell'oblio, un'oscillazione alla ricerca della rosa trasparente delle sabbie. E questo non figurabile che si insinua tra gli intervalli del respiro poetico si rivelerà per molto tempo a venire come il senza nome: l'Anonimo.
Saint-Georges d'Aunay, 25/04/2021
Hughes Labrusse
Traduzione di Laura Garavaglia e Valeria Citterio
Photo by Rodion Kutsaev on Unsplash
VERSION FRANCAISE
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