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La casa della poesia

Diversi si cresce


Avete sentito come una costrizione questo confinamento forzato nelle vostre case? Avete una necessità di condivisione e di riavvicinamento, una voglia di sentire nuovamente un contatto fisico o anche solo una sensazione di appartenenza a un gruppo, a una società, a una rete di rapporti che vi lega in un viaggio nel viaggio?


Incanalate queste sensazioni, cercate di concentrarle in un punto al vostro interno e pensate a come farle uscire verso chi avrete la fortuna e la voglia di incontrare.


Questa pratica potrebbe aiutarvi a comprendere quale esperienza sia il partecipare a uno slam, quindi potrebbe rendervi più semplice l’accettare quella “differenza” che solo l’occhio (e l’orecchio e qualche altro senso) di chi vuole notarla, attribuisce a questo spettacolo, rispetto alla Poesia (con la p miniata).


Personalmente potrei considerare la scoperta del poetry slam come uno spartiacque: prima di aprire gli occhi su un mondo così intenso e variegato, così aperto e libero, così divertente e arricchente, così poetico e condiviso, potrei dire di essermi sentito un pochino distante, socialmente, dall’idea di poesia e da chi la incarnava. Invece la poesia è viva, risuona, batte e commuove, fa splendere, avvicina, alza il volume e tenta di arrivare ovunque. Che altro ha sempre cercato di essere, la poesia? Sarà forse presunzione, la mia, ma seppur provando una soggezione immensa per chi ha un sacco di certezze e sa con assoluta sicurezza cosa sia e cosa non sia poesia, guardando uno slam, leggendo un libro, assistendo a un reading, andando a teatro, a una mostra o semplicemente sdraiandomi su un prato, io, non ci ho mai visto tutta questa differenza. La poesia c’è, la poesia è; se la si sente, esiste; se non la si sente, non sta funzionando, ma non è detto che non risuoni in altre persone.

E anche il pensiero che la poesia sia una cosa intima, che i momenti di fruizione debbano essere personali e relegati alla propria poltrona, mi ha sempre un po’ riportato al concetto di amore. In fondo amiamo tutti la poesia (ognuno a modo suo, ognuno quella che apprezza), la poesia che riusciamo a cogliere, la poesia che ci muove a sentire. Ecco, seppur l’amore si impara con e dentro se stessi, seppur in fondo sia un'egoistica speranza di star bene: l’amore si compie, si completa, sboccia, esplode e si realizza appieno in relazione con altre persone. Certo, l’uscire dal proprio regno per affrontare possibili delusioni è un atto di coraggio e un salto nel buio, si fa sempre fatica a lasciare ciò che si conosce, per qualcosa di ignoto e probabilmente duro e avverso, ma chiunque riesca ad assaggiare l’amore vero, quello che si alimenta nel passare da corpo a corpo, non troverà mai più lo stesso sollievo, la stessa forza e bellezza nel fruirne in solitudine. Ed è profondamente limitato e limitante il credere che l’amore si esprima, e debba farlo, soltanto tra due persone: più si condivide l’amore, più amore si condivide.

E quindi che altro è se non amarsi, tuffarsi nella poesia altrui, scoprirne di nuova, condividere, aversi.


C’è un’altra cosa legata alla solitudine che non mi è sempre chiara: nei racconti, nei fumetti, nei film in cui un supercattivo vuole annientare il mondo, vuole rubare tutto, vuole schiavizzare l’umanità… a me viene sempre in mente che, se mai dovesse riuscire nel proprio intento, finirebbe per essere triste, deluso, solo. E che bellezza c’è nel raggiungere un traguardo che ti preclude l’unica cosa che la natura umana sembra ricercare spasmodicamente: la conferma d’essere vivi negli occhi di chi amiamo o di chi ci ama?


Insomma, che sia per autocompiacimento o per tracotanza, per me, la fruizione solitaria della poesia è un inizio o un rito di passaggio, sì, ma è un qualcosa di pericoloso, da dosare con parsimonia, da sperimentare, certo, ma da non perseguire o da non tenersi stretto come oggetto transizionale.

In fondo, se state leggendo qualcosa che parla di poesia, è perché avete assaggiato o vorreste provare ad assaggiare qualcosa che la poesia nasconde, un piacere immenso che altro non sa donarvi. Bene, quindi pensate a quel piacere che avete provato voi, solo voi, nient’altro che voi, nel leggere o scrivere una poesia; ora provate a immaginare quale forza e quale splendore abbia il riuscire a far sentire questa stessa meraviglia a qualcun altro. Ecco, avete appena scoperto che, esattamente come “cogitor ergo sum” o un più commerciale “la felicità è reale solo quando condivisa”: la poesia esiste solo quando passa (in tutti i sensi, sia di tempo che di spazio). E più passa, più può essere poesia e più poesia ci può essere. Un contagio, insomma, e ormai siamo tutti dei grandi esperti.


Simone Savogin


Photo by Daniele Levis Pelusi on Unsplash

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