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Cos’è la poesia? partirei dal fare fogli di poesia, poeti…

Intervento di Stefano Donno


FATE FOGLI DI POESIA, POETI

(manifesto poetico di Antonio Leonardo Verri)

Cominciate, poeti, a spedire fogli di poesia

Ai politici, gabellieri d’allegria

A chi ha perso l’aria di studente spaesato

A chi ha svenduto lo stupore di un tempo

Le ribalte del non previsto,

ai sindacalisti, ai capitani d’industria

ai capitani di qualcosa,

usate la loro stessa lingua

non pensate, promettete

…”disarmateli” se potete!

(al diavolo le eccedenze, poeti

Le care eccedenze, le assenze anche,

i passeri di tristezza, i rapimenti

i pendoli fermi, i voli mozzi, i sigilli

le care figure accostate al silenzio

gli addentellati, i germogli, gli abbagli…

al diavolo, al diavolo…)

disprezzate i nuovi eroi, poeti

cacciateli nelle secche del mio gazebo oblungo

(ricco di umori malandrini, così ben fatto!)

Fatevi anche voi un gazebo oblungo

Chiudeteci le loro parole di merda

I loro umori, i loro figli, il denaro

Il broncio delle loro donne, le loro albe livide.

Spedite fogli di poesia, poeti

Dateli in cambio di poche lire

Insultate il damerino, l’accademico borioso

La distinzione delle sue idee

La sua lunga morte,

fatevi poi dare un teatro, un qualcosa

raccontateci le cose più idiote

svestitevi, ubriacatevi, pisciate all’angolo del locale

combinate poi anche voi un manifesto

cannibale nell’oscurità

riparlate di morte, dite delle baracche

schiacciate dal cielo torvo, delle parole di Picabia

delle rose del Sud, della Lucerna di Jacca

della marza per l’innesto

della tramontana greca che viene dalla Russia

del gallipolino piovoso (angolo di Sternatia)

dell’osteria di De Candia (consacratela a qualcosa!).

osteggiate i Capitali Metropolitani, poeti

i vizi del culto. Le dame in veletta, i “venditori di tappeti”

i direttori che stupiscono, i direttori di qualcosa,

i burocrati, i falsi meridionalisti

(e un po’ anche i veri) i surrogati

Le menzogne vendute in codici, l’urgenza dei giorni sfatti,

non alzatevi in piedi per nessuno, poeti

… se mai odorate la madre e il miglio stompato

Le rabbie solitarie, le pratiche di rivolta, il pane.

Ecco. Fate solo quello che v’incanta!

Fate fogli di poesia, poeti

Vendeteli e poi ricominciate.

Fatevi disprezzare, dissentite quanto potete

Fatevi un gazebo oblungo, amate

Gli sciocchi artisti beoni, i buffoni

Le loro rivolte senza senso

Le tenerezze di morte, i cieli di prugna

Le assolutezze, i desideri di volare, le risorse del corpo

I misteri di donna Catena.

Fate fogli di poesia, poeti,

vendeteli per poche lire!

Il manifesto di Antonio Leonardo Verri l’ho fatto da sempre mio, nell’agire poesia, nell’ascoltare poesia, nel pubblicare poesia, nel condividere poesia, nell’assaporare poesia, nel pensare poesia come fine e mezzo di scandaglio sociale, di critica, di arma potente e devastante contro tutte le mimesi possibili ed immaginabili del nostro vivere culturale quotidiano, fuori e dentro il mainstream. Il manifesto di Antonio Leonardo Verri l’ho fatto da sempre mio, anche quando ho deciso di diventare un editore, forse incautamente, forse nel migliore dei modi possibili che ho potuto realizzare (non certo in uno dei migliori mondi possibili come avrebbe detto Spinoza). Ed eccomi ogni tanto a rileggermelo questo testamento di Verri, che poi tutto è tranne che un testamento, visto che i sepolcri imbiancati lui, li odiava a morte. E nel sorprendermi a immaginare un Antonio ancora vivo oggi alle mie latitudini (in quel Salento odiato/amato dal futurista Vittorio Bodini, dagli irregolari e s/regolati Salvatore Toma e Claudia Ruggeri solo per citarne alcuni) che incanta con i suoi progetti editoriali e regala sogni a poeti e narratori, che hanno il sapore del pane sotto la neve in ogni parola che mettono nero su bianco … penso al valore della Poesia, per me dico … solo per me, rintanato nella mia piccola officina delle parole che si chiama I Quaderni del Bardo Edizioni. Lascio ai manuali di storia della letteratura e di teoria della letteratura, tutte le possibili e plausibili spiegazioni di cosa sia stata, di cosa è e di cosa sarà la Poesia. La Poesia deve ritornare ad uno stato magico (dove la parola crea e modifica la realtà), deve cominciare a risporcarsi le mani della materia dei sogni, confezionarli, regalarli, farne dono di condivisione non ex cathedra, ma in circolo, anzi in un circolo ermeneutico che porti sollievo e innalzi lo spirito dinanzi alle miserie delle derive quotidiane. La Poesia deve cominciare a essere Veglia e Sveglia tra la gente, che punti l’indice, che scenda in campo, che sbatta i pugni sul tavolo, che sia monito e ammonimento, che sputi la verità fuori dei denti, fuori dai salotti letterari, fuori dalla accademie, fuori dal mercato dei soliti noti, fuori dalle colonne di un giornale. Non so quale abito abbia indossato quando ho deciso il mestiere che avrei fatto con orgoglio da grande, ma di certo non quello dell’editore. Forse un saio, una clamide, una veste sacerdotale o un semplice grembiule da sguattero. La Poesia, per me lo è, una missione quasi sacerdotale, sacra, perché sacro è il suo dire e il suo agire, il suo stare con, il suo essere per, il suo divenire tra ,,. E allora i poeti non cerchino solo gli allori, i concorsi letterari, gli editori non scelgano solo il business, il packaging, il marketing, e la bella recensione, siano cercatori del vero e dell’autentico, del comunicare senza peli sulla lingua, accontentandosi delle briciole semmai solo per tirare a campare, poi per il resto siano sempre più esigenti di amore, abbracci, tenerezze, affinità elettive, buoni propositi mettendo la propria vita a disposizione del lettori deboli, dei lettori forti, dei non lettori, del prossimo imparandolo ad amare come la parte più bella di sé!

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