La giovane poesia di Francesco Guazzo (1998) presenta, già in questa plaquette di 13 componimenti,una sua precisa compiutezza che la iscrive in un apprezzabile contesto pienamente aggiornato ad una certa linea italiana contemporanea. La quale, partendo dal Maurizio Cucchi del Disperso, attraversa questi decenni trovando diverse voci dalla spiccata personalità nello sforzo di interrogare le cose, in una dimensione del reale ostinatamente enigmatica.
Il paesaggio poetico di Francesco Guazzo è in effetti pieno di oggetti e situazioni in mezzo alle quali la voce narrante sembra essere capitata per caso, ma con il dovere di tentare una interpretazione che dia un senso ai mozziconi di significato.
Laddove un dato di partenza inalienabile consiste nella precisa coscienza che ogni visione e panoramica resterà comunque soggettiva e per ciò stesso precaria: ecco perciò abbondante negli incipit la presenza di pronomi e aggettivi possessivi come segnali di una messa tra parentesi – questo è ciò che ho visto o sentito io, sembra dire il poeta -.
Precarietà che d’altro canto appare a doppio senso: il rapporto tra io e mondo è rovesciato e tanto la soggettività lo traguarda, quanto quest’ultima tenta una collocazione in funzione delle cose con cui entra in contatto: Mi chiedono – dove sei - / e io dico le cose –dappertutto-.
Cose, situazioni e persone, che sono necessariamente squarci improvvisi, privi di passato e futuro, nel rapporto con i quali c’è sempre qualcosa che non va. Si para un divieto: A guardare le fila del mercato / dall’alto della finestra, tento / una soluzione dell’enigma , /...ma i frammenti di vetro,...mi suggeriscono / di non sostare ancora...o c’è come una sfasatura fra diverse volontà di dire, quelle dell’io e quelle della cosa: Una donna, al mio paese,...mi parla / della necrosi agli ossami del corpo, / io la interrompo con il successo dei sorrisi...o subitosi evidenzia una distonia temporale o spaziale che si fa dimenticanza o allontanamento.
Per cui i frammenti sono sì evocazioni di qualcosa che è rimasto impresso come un effetto orfano di causa evidente, ma anche ricordi o scoperte affioranti a loro volta senza un perché: A volte mi torna nella mente...Avevo dimenticato / la mia casa di danze./...Ho saputo che per brevi momenti sei / stata...
La tensione latente in tutti questi testi essendo data da un contrasto che appare irrisolvibile: da un lato una fotografia che mette a fuoco particolari e stati d’animo con una precisione così estrema da sembrare porsi sul confine di un senso più grande, forse ritrovabile proprio nel minimo e nel fuggevole. D’altro canto la resa di fronte allo slittamento del tutto in una successione temporale che in fondo si riduce ad una pura elencazione di azioni ed immagini allineate in sequenza, alla fine della quale non c’è che assistere alla morte / del cassonetto fuori casa, / vedendo abbattuta / la siepe della scuola elementare.
Francesco Guazzo è nato a Bassano del Grappa nel 1998.
Ha esordito nel 2016 con "13", plaquette pubblicata dal Premio di Poesia città di Fiumicino. La sua Opera Prima è in corso di scrittura. Collabora come recensore con il Blog di poesia della Rai di Luigia Sorrentino e con la rivista Poesia di Crocetti Editore.