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Alessandra Corbetta recensisce "L'arte di essere fragili" di Alessandro D'Avenia


Ci sarà sempre un libro che avremmo voluto scrivere e che qualcun altro scriverà per noi.

È la prima cosa che ho pensato quando è uscito, pochi giorni fa, il nuovo lavoro di Alessandro D’Avenia “L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita”, edito per Mondadori.

È stato il titolo, prima di tutto, a farmi mettere le mani sul libro, a farmelo rivoltare davanti e dietro, a farmi leggere il colophon, la quarta di copertina; perché la parola arte mi attira, mi ammalia, mi seduce ogni volta, come fosse sempre l’emozione dell’attesa che precede un primo appuntamento. Poi, a rapirmi, è stato il concetto di fragile, bellissimo, delicato, perennemente oscillante tra lo stare e il cadere, fisso nel suo tremare su una soglia che non verrà mai attraversata. Trovare i due termini accostati è stato confortante, riempitivo, consolatorio: mi è sembrato di intravedere l’arte porgere la sua mano affusolata ed elegante alla bocca socchiusa e timida della fragilità che la sfiora e la innalza venendo, nel sottile gesto, essa stessa innalzata.

Poi, ho guardato l’autore, Alessandro D’Avenia: i gusti, si sa, sono soggettivi e, soggettivamente, a me D’Avenia piace molto.

La punta della freccia, il sottotitolo. “Come Leopardi può salvarti la vita”. Leopardi, il mio poeta. Leopardi non il pessimista, non il gobbo ma il salvatore. Non solo per me, allora, finalmente.

Mi ci ero aggrappata alle sue poesie, ai suoi scritti, a quel suo modo malinconico e fortissimo di essere, di partecipare alla vita, di amarla fino in fondo. Avevo diciassette anni quando iniziai a difenderlo da professori e compagni e da stupide battute, quando iniziai a difendermi da un modo banale e sterile di esistere. Ho ventisette anni quando continuo a trovare in lui una luce dirompente, una speranza più infinita del suo Infinito, gocce pure e distillate di esistenza.

Nessun consiglio Zen, nessuna filosofia d’oltreoceano, nessun guru: la felicità, intesa come appagamento interiore, come pienezza del vivere, come tranquillitas animi ce la in-segna, ce la scrive dentro, Giacomo Leopardi, un poeta, italiano.

Anche la copertina ha contribuito all’effetto magnetico. Un cielo notturno, stellato, con al centro uno spicchio di luna sospeso su cui posa una farfalla dai colori simili a quelli del satellite.

È la luna silenziosa del pastore errante dell’Asia, ho pensato. È la luna muta che alberga in ognuno di noi in certi momenti, di fronte a certe domande, a certi eventi. Ma è anche l’amaca luminosa che culla il nostro sguardo che punta in alto, che vuole superare, sfondare, scoprire.

È la farfalla di cui ciascuno di noi assume le sembianze quando mette da parte l’armatura con cui cerca di affrontare il mondo, sia essa fatta di plastica o di ferro; è la mimetizzazione a cui diamo vita per tentare di raggiungere l’irraggiungibile ma anche per sentirci più in pace con tutto, più in armonia con tutti, meno soli.

Per tutti questi motivi ho deciso di leggere “L’arte di essere fragili”; per tutti questi motivi ho letto il rapporto epistolare che D’Avenia intesse con Leopardi per mostrarci dove possiamo ancora scovare il gaudio e la serenità del vivere; per tutti questi motivi ho scorso le righe di Alessandro e di Giacomo che, oltrepassando gli anni, si sono uniti con energia dirompente per ridarci energia.

Per tutti questi motivi, ma anche per la ricercatezza lessicale, per gli intermezzi leopardiani, per il dispiegamento etimologico, per la rivalutazione positiva e necessaria del concetto di fragilità mi sento di consigliare, sostenere, inneggiare ad alta voce la lettura di questo libro, garbatamente esplosivo, straordinariamente quotidiano. E il consiglio, che vale per tutti, arrivi soprattutto ai giovani, tanto cari a D’Avenia e a chiunque abbia davvero a cuore il nostro abitare il mondo, di ieri e di oggi, perché “viviamo in un’epoca in cui si è titolati a vivere solo se perfetti. Ogni insufficienza, ogni debolezza, ogni fragilità sembra bandita. Ma c’è un altro modo per mettersi in salvo, ed è costruire, come te, Giacomo, un’altra terra, fecondissima, la terra di coloro che sanno essere fragili.”

L'articolo è stato scritto e pubblicato originariamente per Sulpicia.it


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