Come nasce un'opera letteraria? Anzi, perchè nasce? Ovvero, perchè una ragazza di ventun anni prende la decisione di imbarcarsi in un viaggio che ha la fama di ridursi a cammino e mai a meta? Io credo che "Fallo e basta", opera prima di Teresa Rappa [Europa Edizioni, 2018] si presti a rispondere con chiarezza e poca semplicità alle suddette domande. Dico poca semplicità perchè di questi tempi in poesia sembra che la semplicità sia il valore primo da ricercare, la semplicità espressiva, la semplicità di linguaggio, la semplicità di immagini. Per quanto possa essere affascinante, non sempre la semplicità rispecchia la necessità di espressione del poeta. A volte quello che proviamo è troppo complesso persino perchè noi stessi riusciamo a capirlo, figuriamoci trasmetterlo. Così per parlare del caos bisogna aggirarlo, intrappolarlo con qualche trucco di magia. Ed è qui che entra in gioco la poesia.
In questa raccolta in realtà c'è molto più che un desiderio di comunicare e farsi conoscere, questo costituisce solo lo strato superficiale, quella copertina nera che non riflette ma che invita silenziosamente a scoprire cosa c'è al di là delle fredde apparenze. Come sottolinea anche Lisa Misesti, che ne ha curato la prefazione, è viva in questa raccolta la necessità di costruire un legame. E da questo legame distillare poi la cura a un male che non si limita a toccare l'anima, ma divampa poi nel corpo e al suo passaggio lascia segni indelebili.
In questa raccolta c'è un afflato egoistico che spinge la poetessa a pensare più a se stessa che al lettore: questa sono io e, almeno qui, prendimi così perchè non mi concederò in altro modo che questo. Possiamo perdonarle questa sensibilità univoca? Credo di sì, sulla base del risultato. Le parole di Teresa Rappa nella loro folle corsa per trovare un rifugio costruiscono un ponte fatto di cose che non possono essere più taciute, per riscoprire la speranza che qualcuno un giorno giri quelle pagine pensando "Ecco, capisco": [farlo/ non essere soli in una bolla - è difficile anche solo/ immaginarlo]
Girasoli
Sono pennellate
forti, decise, così accese.
Nascondono un segreto
perso in critica:
non sofferenza
ma un fratello
ed un legame.
E lì
la cura.
Ma cos'è questa cura cui Teresa si aggrappa a forza di parole? Sembra praticamente inevitabile andare a ripescare Heidegger, che della Cura si era occupato non poco, per provare anche solo ad avvicinarsi alla prospettiva di questa poetessa. Ri-scopriamo così che la Cura è un modo d'esistenza, è un porsi nei confronti dell'altro essere umano e dell'altra cosa. Ovviamente, semplifichiamo e pieghiamo un po' il discorso, che comunque sembra volersi incastrare nelle poesie di Teresa. Sì, perchè la lotta di questa poetessa ha come mira una condizione d'esistenza che sia diversa da quella con cui vengono impresse le prime parole sulla prima pagina. La ricerca è quella di un modo di rapportarsi agli altri che tenga conto delle proprie possibilità, è un'attenzione rivolta prima di tutto a quello che si fa, per poter poi coesistere con chi sta nel mondo al di fuori di noi.
Oggi funambola
Ho sentito il
bisogno
di fermarmi in un'oasi.
Panchina fortunata.
Panorama
di macchine e moto parcheggiate - file
ordinate solo per chi si annoia;
nubi e nuvoloni grigiastri sull'orizzonte
del largo viale, all'incrocio tra la banca e
un negozio di vestiti. Straordinariamente
banale.
Promessa di tempesta.
Vento tiepido
dopo il sole di una primavera estiva
fa tremare il cuore in trepidazione,
di nascosto l'attesa diventa speranza.
Sfida e domanda - si bangerà
il foglio
prima che l'inchiostro si sia asciugato?
Un pensiero rincorso per sbaglio.
Non esiste calma
prima della tempesta;
forse mi chiedo se questa
tanto attesa
arriverà in schianto
con lo scrosciare dell'acqua
e rombi echeggianti.
Sospensione immobile.
[...] Da dove sono seduta
ne conto dodici. Ordine casuale come
in predetta simpatia
alle moto di ragazzi avventurosi.
Da dove sono seduta
vedo anche loro. Oltre i petali di ciliegio ondeggianti
e piccioni viaggiatori senza meta comprensibile,
ci sono ragazzi e ragazze.
Da dove sono seduta
ne sono acutamente distaccata - come alla prima di un film
senza odore di popcorn nell'aria
e possibilità d'immaginarmi protagonista.
Da dove sono seduta
avrei dovuto trovare metafora migliore - gita allo zoo forse,
ma non ci sono mai stata e quella
in gabbia sembro essere io. [...]
Fatica Teresa a scoprire di poter uscire da se stessa: "quella in gabbia sembro essere io". Mi sembra, leggendo componimenti come questo, che persino la Volontà, con la V maiuscola, di rapportarsi agli altri venga meno. Questo isolazionismo e questo solipsismo sono voluti. Ecco il male di cui parlavamo prima, che strisciante emerge dalle parole e si insinua nel corpo. La sofferenza dell'individuo è qui fisica. Per questo Teresa non può accontentarsi di una poesia facile e di parole gentili, perchè il male è vero ed è subdolo e - a volte - uccide.
Diciotto e tre quarti
SS
[...] S è suicidio.
Suicidio sembra una parolaccia.
Nascondi! Nascondi!
Suicidio è il figlio ribelle di una società di plastica,
casa delle bambole.
Porcellana perfetta e profonde crepe di cui non si parla,
crepe oscurate e schiacciate contro il muro -
shhh, da questa parte nessuno guarderà mai,
nessuno se ne accorgerà.
[...] S è staticità, denti digrignati e un "fallo e basta" - risposta non
[tanto a scherzare.
S è un sospiro.
"Continua -
nascosta in respiro.
-a vivere."
Sforzo.
Una storia appunto che non può accontentarsi delle parole semplici, perchè a volte persino dirle è doloroso. Per questo Teresa si siede alla scrivania e tutto il caos di buio che ha dentro lo riversa in inchiostro e lo ricompone in una forma meno spaventosa, più accettabile: è persino difficile spiegarvelo. Depressione è il mostro che si infiltra nell'indice di questa raccolta, ma lo scoprirete solo guardando: alcune poesie sono contrassegnate da un titolo ricorrente "Diciotto e tre quarti" seguito da una lettera, un acronimo acuto che si svela solo a fine lettura. Depressione e null'altro da dire, ma solo poesie da leggere. V per Vendetta: al male non sempre ci si piega e la vendetta personale a volte è "Restare in vita": "A volte per restare in vita/ devi uccidere la tua mente/ scappare/ col coraggio incosciente di sporcarsi le mani;". A volte, più semplicemente, la vendetta è rischiare di essere felice:
Il discorso di un ubriaco
[...]Lei studia?
Torni a studiare!
Se ne vada in Cina,
in Cambogia,
in Canada.
Silenzio,
prima del gran finale.
Un altro sorso di birra,
l'apertura di un libro,
come fosse una sfida.
Una poesia: nome sconosciuto,
parla di riso sul piatto,
di riso sul viso.
E l'ubriaco ha un'ultima domanda.
Lei cosa vuole nella vita, Signorina?
Essere
felice.[...]
E allora se la poesia di Teresa all'inizio è assenza di Volontà e voglia di Vendetta, ecco che le pagine passano, come il tempo ( "Conto i capelli bianchi prima di andare a letto/ do un nome a tutti/ ognuno per le parole scritte/ in inchiostro ed esperienza")e al di sotto troviamo la Vertigine di una storia che sembra sempre sul punto di finire e si dimena sull'orlo dell'abisso. Quell'abisso dove il tempo non scorre più e le parole, nate per imprigionare l'attimo nell'eterno, cessano di avere ragione d'esistere. Il baratro non sfugge, non si sfuma, non migliora d'aspetto per il semplice fatto di essere raccontato nei versi di qualche poesia: diciamocelo senza nasconderci. Eppure la poesia sembra suggerire che il baratro non sia fine a se stesso, che la ricerca nasconda una meta, che il cammino potrebbe essere eterno e senza fine, ma che c'è una speranza che ci spinge a camminare:
Indefinito
La mia domanda mi rispecchia,
ed è un percorso di ciottoli d'oro quello che mi aspetta;
il pensiero inseguito, sulle tracce di un nomade -
mappa del tesoro costruita su azioni ancora da compiere.
Non cerco di scoprire qualcosa di nuvo,
mi tormento per ritrovare qualcosa che si ha dimenticato;
-colmare un vuoto senza una particolare forma.
E' un affano
la ricerca.
La bussola impazzita
punta a qualcosa che ha il sapore di miraggio.[...]
Camminare lungo i bordi taglienti dell'abisso, consci del rischio di cadere. Capaci però di trasformare quella Vertigine in desiderio di Volo: viaggiare oltre, andare oltre, volare al di sopra del caos. "Nessuno gioca d'astuzia/ per sconfiggere il ciclope affamato/ e con un sospiro spezzato,/ la prossima frase dovrà essere/ ribaltata/ e il significato cercato tra gli spazi bianchi./ Nessuno è solo." Un volo verso una Vittoria che è ambigua: nessuno è solo o nessuno è solo? Certo, ancora la strada è lunga e le parole tante da scrivere. Forse, l'orizzonte che aspetta Teresa è quello di una poesia più asciugata, raccolta intorno a pochi punti incisivi, un senso che si nasconda meno dietro al torrente di pensieri che comunque - ed è stato giusto così - in questo momento della sua vita non potevano fare altro che uscire.
L'equilibrio si trasforma e il panorama cambia, ora Teresa può scrivere dall'alto, sempre sopra al baratro, che non si sposta e non scompare, ma semmai si mostra per quello che è. Nient'altro che un ostacolo su una strada ben più lunga.
Alla prossima raccolta, allora, dove forse forse se la poesia per Teresa Rappa è Volo oppure Vertigine.
Martina Toppi
Teresa Rappa nasce ad Alcamo un giovedì d'inizio aprile del 1997, probabilmente di mattina; presto si trasferisce con il fratello e la madre e adesso vive a Luino, in provincia di Varese. Chiamata "prezzemolo" e "uragano in eruzion" dalle maestre delle elementari, dimostra fin da piccola una presenza esuberante ed estroversa. Ama stare in mezzo alla gente, la filosofia e il gelato. Quando si ritrova a giostrarsi il mondo scontrandosi con la propria depressione, la strada si fa improvvisamente confusa e dolorosa. Nella poesia, Teresa trova un'amica e una sostenitrice - un luogo in cui sentirsi meno soli, in cui esorcizzare la propria ombra affrontandola. Guarda video di lettura di poesia di autori come Patrick Roche, Sara Benaim e Joseph Capehart; si innamora di Wislawa Szymborska, rispolvera un amore già presente con il Sonetto n. 12 di Shakespeare e si lascia emozionare da Simone Savogin, Dani Orviz e Olivia Bergdahl. Adesso, con il suo esordio Fallo e basta, segna l'inizio del proprio viaggio nel mondo che l'ha aiutata ad aiutarsi.
Martina Toppi
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