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“In Inghilterra alcuni poeti scrivono in versi i loro commenti ai fatti di cronaca e il giorno dopo


Franco Buffoni è nato a Gallarate, vive a Roma. Ha pubblicato Suora carmelitana (Guanda 1997), Il profilo del Rosa (Mondadori 2000), Guerra (Mondadori 2005), Noi e loro (Donzelli 2008), Roma (Guanda 2009), Jucci (Mondadori 2014), Avrei fatto la fine di Turing (Donzelli 2015). L’Oscar Poesie 1975-2012 (Mondadori 2012) raccoglie la sua opera poetica. Dirige il semestrale Testo a fronte. È autore dei pamphlet Più luce, padre (Sossella, 2006) e Laico Alfabeto (Transeuropa 2010) e dei romanzi Zamel (Marcos y Marcos 2009), Il servo di Byron (Fazi 2012), La casa di via Palestro (Marcos y Marcos 2014).

Qual è la situazione della poesia nel Suo Paese?

C’è un arroccamento, non c’è dubbio. Gli ultimi nomi di poeti passati e diventati pubblici risalgono agli anni ‘70 e tengono ben ferma la posizione avendo acquistato visibilità nelle collane maggiori e saturandole. Nomi nuovi dopo i 70 e i primi 80 si contano sulle dita di una mano. Questa situazione dipende da più fattori. Fino a non molti anni fa c’era una naturale corrispondenza tra il poeta e la società. La gente conosceva il suo nome. Una persona mediamente colta conosceva il nome di tre, quattro poeti viventi. Anche perché se ne parlava, prendevano un Nobel, diventavano senatori a vita. Oggi si ricordano nomi di personaggi eccentrici.

Pensa che la poesia sia uno strumento per avvicinare culture e religioni diverse?

Da laico parlerei soltanto di “culture” diverse. Certamente il linguaggio della poesia - proprio perché alto, metaforico, polisemico– può svolgere una funzione importante nel proporre e nel proteggere questo tipo di avvicinamenti. Ma è una funzione dell’arte in genere: vale anche per la pittura e per la musica. (Che non avendo bisogno di essere tradotte svolgono tale funzione ancora più direttamente).

Il linguaggio oggi si è impoverito: la poesia può ridare valore alla parola?

Non credo che il linguaggio si sia impoverito in termini assoluti. La situazione andrebbe vista nazione per nazione. La Francia è in una condizione ancora più disperata dell’Italia perché ha una poesia più evanescente. In Germania la situazione è simile a quella italiana, ma c’è maggiore rispetto per il termine “Dichter” (poeta). In Italia è difficile che un vero poeta si presenti come “poeta”: perfino Montale aveva scritto “giornalista” sulla carta d’identità. Nel mondo anglosassone, che conosco meglio, è un po’ diverso. Dipende dalla lingua. La nostra storia linguistica è andata costituendosi in un altro modo, la nostra è una lingua più letteraria e più astratta: abbiamo Bembo nel Dna. In Inghilterra Tony Harrison e Simon Armitage scrivono in versi i loro commenti ai fatti di cronaca perché la lingua inglese glielo permette. È duttile e ricca e non ha la storia cartacea dell’italiano. Così ascoltano la notizia, scrivono 30 versi e il giorno dopo sono in prima pagina sul Guardian. Sul Corriere o su Repubblica sarebbe impensabile.

La poesia nel mondo dei giovani. Quale futuro?

Capisco che chi è giovane e non ha ancora avuto accesso alla visibilità stenti ad accontentarsi della rete. Prima il poeta era un personaggio pubblico e si rivolgeva a tutti, adesso è in una situazione di nicchia. I riscontri, i feedback sono di nicchia. Il bisogno di poesia c’è ancora, è un bisogno diffuso. Viene soddisfatto con altri mezzi, dai cantautori, per esempio. Nel migliore dei casi. È un fenomeno iniziato nei tardi anni ’60 e oggi giunto a palese maturazione. Personaggi come Fernanda Pivano hanno fatto molto per screditare i poeti italiani contemporanei, sostituendoli con cantautori. E quando lo scrittore teme per sé e il suo futuro, si arrocca e mira solo a preservare il suo lavoro. Se promuove dei giovani li sceglie con l’ottica del “discepolo”. E il risultato sono una serie di sette, e una massa di lettori lontani dalla poesia. Quindi un buon esordiente ha davvero difficoltà a trovare un modo per essere letto. Ovvio che con l’iniziativa dei Quaderni di Poesia Contemporanea che curo da vent’anni per Marcos y Marcos cerco di andare nella direzione opposta.

La poesia sui social network: qualità o spazzatura?

Può esserci tutto e il contrario di tutto: l’offerta è immensa. Quella funzione di setaccio che fino a dieci anni fa era svolta dalle innumerevoli riviste cartacee, oggi è svolta dalla rete; ma con quanta più fatica e dispersione! Tuttavia, alla lunga, intelligenza e qualità finiscono ugualmente per imporsi: qualche nuovo nome di poeta bravo anche dalla rete ogni tanto fuoriesce.


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