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"I poeti giovani devono sgobbare per farsi una fisionomia"


Qual è la situazione della poesia nel Suo Paese?

Il Novecento è stato un buon secolo per la poesia italiana. Abbiamo avuto molti più poeti che prosatori degni e durevoli. Adesso mi pare che il campo sia piuttosto vuoto, perché i più sono morti e i vivi devono ancora sgobbare per farsi una fisionomia: ma il mio è il punto di vista di un vecchio che guarda più ai sopravvissuti che alle promesse. Tra i primi ho grandissima ammirazione per Nico Naldini.

Pensa che la poesia sia uno strumento per avvicinare culture e religioni diverse?

La domanda è un po’ ingenua e la risposta è scontata: sì, certo. Aggiungerei che i veri poeti hanno un vantaggio, in quanto strumenti culturali: non sono segretari d’ambasciata ne missionari, il che li rende degni di considerazione e di ascolto.

Il linguaggio oggi si è impoverito: la poesia può ridare valore alla parola?

Tenderei a rispondere di sì, anche se non vale a livello di società. Da noi c’è da dire che i dialetti sono stati delle iniezioni di vitalità, nella fatiscenza della lingua ufficiale.

La poesia nel mondo dei giovani. Quale futuro?

Sono troppo vecchio per rispondere. Immagino che sarebbe loro di grande aiuto nel costruirsi un’immagine del mondo meno piatta che convenzionale di quella che forse hanno.

La poesia sui social network: qualità o spazzatura?

Non pratico le latrine dei social network: mi immagino che lì l’attività poetica si confonda un po’ troppo con la masturbazione: questa è di per sé attività altrettanto utile (o anche più utile) ma non è la stessa cosa.


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