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La poesia: le mie strategie retoriche predilette


di Tino Villanueva


Nella poesia, come in tutta la letteratura, non è l'autore né l'autrice che parla, ma il linguaggio che si usa per lasciare un disegno verbale sulla carta... una performance, diciamo, sulla pagina. Una delle strategie è stata il non dire le cose direttamente; piuttosto comunicarle eufemisticamente in modo indiretto. Come ha suggerito Emily Dickinson, "Di’ tutta la verità ma dilla obliqua". Nel linguaggio quotidiano, ad esempio, per indicare che qualcuno è morto, scegliamo l'espressione "passò a miglior vita". Nellaletteratura – più in particolare nella poesia - questo uso dell'eufemismo o perifrasi occupa un posto molto speciale, così come la similitudine e la metafora.


Tra gli aspetti della poesia che mi attirano si potrebbero citare proprio queste strategie retoriche a cui il poeta può ricorrere in un certo momento. Lo scopo di tale linguaggio figurativo è quello di sottolineare affermazioni che, a seconda del tema, il testo stabilisce, aggiungendo allo stesso tempo un certo ritmo, una certa musicalità e carica emotiva, qualità che fanno parte della lirica. In quanto segue, cito alcune di queste figure letterarie basate sul mio ultimo lavoro, So Spoke Penelope (Cambridge: Grolier Poetry Press, 2013) / Così parlò Penelope (Milano: Edizioni Ariele, 2017), traduzione di Paola Mildonian:

Anafora: Anafora si riferisce alla ripetizione della stessa parola o frase all'inizio di un'unità verbale. In “Così parlò Penelope”, ad esempio, “Questo è il palazzo” viene ripetuto tre volte e “Questa è la stanza” una volta. La seconda strofa inizia in questo modo:


Questo è il palazzo che percorro in tondo,

di sala in sala, un mondo, il mio, de pietra e di legno.

Questa è la stanza dove lavoro la lana

e discuto in profondità il mio intimo [...]


Epifora: Al contrario, l'epifora enfatizza la ripetizione della stessa parola o frase alla fine di un'unità verbale. Nella poesia "Contro ogni prognostico avverso" ciascuna delle sette strofe termina con la parola "ritorno". La prima e l'ultima strofa recitano così:


Odisseo, l’uomo dai pensieri

precisi come frecce, ha vinto la sua battaglia?

Lui e i suoi guerrieri sono riusciti vittoriosi?

Se si, che gli sia concessso ora di conquer questa distanza—

è ad Itaca che lui deve fare ritorno.


[...]

Infine, questo è il tuo ultimo respiro in battaglia ...

è morto e sepolto, e gli olivi crescono

tra le sue ossa?

Supplico gli degli immortali che s’aggirano per il cielo

dire darmi il suo corpo di ritorno.


Hyperbaton: L'iperbaton consente l'alterazione della sintassi del verso. Questa trasposizione delle parole tende a sorprendere il lettore perché nel linguaggio ordinario è raro che qualcuno si esprima in questo modo. Si noti come nella poesia "Immaginando Odisseo", "dico" appaia sorprendentemente alla fine del verso: non fermare il tuo passo in questa distanza che ancora ci separa, dico.


Asindeto: Dopo essere stato vittorioso nella battaglia di Zela (47 aC), Giulio Cesare, in una lettera al Senato romano, esclama, veni, vidi, vici. Eliminando la congiunzione "e" alla fine in questo trio di verbi, il famoso generale, che lo sapesse o no, ha fatto ricorso alla figura retorica chiamata asindeto. Lo scopo è drammatizzare, mettere in primo piano un'azione straordinaria, forse memorabile. Il presidente Lincoln degli Stati Uniti fece ugualmente nel suo famoso "Discorso di Gettysburg" (19 novembre 1863), conclude augurando che la democrazia continui: "un governo del popolo, dal popolo, per il popolo [...]" eliminando la congiunzione "e", che alla fine sarebbe stata, "e per il popolo".


In “Un campione di tessuto” Penelope, allo stesso modo, usa l’asindeto quando parla dell’arte della tessitura:


Quando penso d’essere giunta alla fine, il lavoro non è finito e mi induce

a intraprendere un percorso diverso per cui disfo, cambiare il modello della trama, vi dipingo un altro colore.


Prosopopea / personificazione: la prosopopea si verifica quando l'oratore si rivolge a un oggetto inanimato e gli conferisce una qualità umana. In "Nel cortile del palazzo" sentiamo Penelope rivolgersi alle Pleiadi come se potessero sentire e capire:


Oh, Pleiadi gloriose che vi stagliate nel cielo,

che vedo solo quando m’addentro nella notte,

accolgo la vostra luce a braccia aperte.


Ipallage: Il trasferimento di un epiteto da un'entità a un'altra è chiamato ipallage, come quando si dice che ricordiamo quella "mattina felice" o come quando un personaggio di Shakespeare rivela: "Ma ecco una spada vendicativa ..." [Enrico VI, parte 2: atto 3, scena 2. ]. La mattina non è capace di provare felicità, ma la persona che ha provato quell'emozione una mattina, proprio come una spada non può provare vendetta, ma è l'individuo con la spada in mano che desidera attaccare un altro per vendicarsi di qualcosa. Nella poesia di diciotto versi, "Questo giorno", troviamo abbondanti casi di ipallage quando Penelope elenca il suo stato emotivo in un determinato giorno:


Giorno fosco

giorno tetro

giorno cupo


questo giorno irritante

questo giorno fastidioso

questo giorno logorante

questo giorno esasperante

questo giorno sciagurato

questo giorno tormentoso


questo giorno senza gioia, deprimente

giorno buio

giorno uggioso

doloroso


giorno vuoto

questo giorno sconsolato

questo giorno sconfortante

questo giorno inconcludente, è un giorno come tanti


questo giorno

Ecfrasi: la ecfrasi risulta essere la vivida descrizione di un'opera d'arte: dipinti, disegni, incisioni, acquerelli, collage, illustrazioni, statue, sculture, murales, fotografie, ecc. La definizione più appropriata sarebbe questa: l'ékphrasis è la rappresentazione verbale e letteraria di una rappresentazione visiva. In "Nel colore e nel tessuto", Penelope racconta di aver finito un tessuto in cui ha disegnato accanto a sé Ulisse la notte prima che partisse per la guerra di Troia. Il suo racconto può essere inteso come una descrizione ecfrastica. Nel suo caso, non solo crea l'opera, ma la descrive, commentandola:


Il fondo: l’ho voluto semplice, scuro,

contro di esso sta ritto Odisseo guardandomi estasiato negli occhi.

Accanto a noi la tavola più lunga della sala del palazzo e,

siccome mi sta parlando,

gli ho dato labbra che parlano. Mi sta dicendo che non

si cura della guerra, e che mi ama “fino alle Pleiadi e ritorno”.

In cambio, a mia volta gli sto offrendo del vino dalla mia coppa di legno.

Del nostro stare lì, fermi,

ciò che più ricordo

è quella nostra reciproca lunga posa: lui ed io infiammati

da quelle due coppe di vino dolce e soave.


La poesia è costruita principalmente sulla base di varie figure retoriche. Quelle che ho elencato sopra sono solo alcune di quelle che possono essere utilizzate, tutto in base alla capacità creativa e ai gusti di ogni poeta. E secondo le esigenze tematiche, emotive e grammaticali di ogni poesia.

 

Traduzione di Valeria Citterio


Photo by Jr Korpa on Unsplash

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