Quando la morsa dell'attualità si allenta, seppur per brevi momenti, mi chiedo, da poeta, quale possa essere il ruolo della parola quando la tragedia avviene, nel momento del suo darsi. Ho sempre pensato che la poesia sia quel linguaggio che sta nel presente ma riesce in qualche modo a superarlo, inglobando anche il passato (con-temporaneo è ciò che riunisce, sa accogliere diversi piani temporali); ebbene, in questo momento queste certezze si stanno sgretolando e inizio a sperimentare l'inutilità della parola di fronte alla sferza della realtà. Da un po' di tempo la realtà supera la fiction, costringendo a mettere in crisi l'idea stessa di post-realtà, di fine della storia. La storia c'è, accade, la stiamo vivendo, ci attraversa in modo violento. E le parole, i nostri sistemi mentali, il linguaggio in cui transitiamo quando creiamo un testo che voglia ancorarsi a un fondamento, hanno l'affanno. Si sentono deboli, inutili. Questo è quello che onestamente provo di fronte a un evento che ci ha colpito alle spalle, e che ci costringe ad una discesa immersiva, che indebolisce i nostri punti di riferimento. Forse la sola risposta, in questo momento, è il rito, la performance intesa come gesto poetico (pensiamo all'impatto estetico della benedizione urbi et orbi di Papa Francesco). La parola poetica arriverà, certo. Ma ha bisogno di sedimentare, di guardare tutto come se fosse racchiuso da una sfera trasparente. La parola è qualcosa che si deposita, che è al centro dell'esperienza ma ha bisogno di tempi di maturazione lunghi. Ha un ritmo, una temperatura emotiva diversa. E se riesce ad attraversare l'esperienza, non lo fa frontalmente, ma attuando uno spostamento.Io, da poeta, attendo. Non ho mai fretta di segnare le parole su carta, meno che mai ora. Credo che arriveranno, come sempre, da una zona remota, protetta da una porta chiusa. Ogni tanto la porta si apre, e quando accade non resta che varcare la soglia, lasciarsi sorprendere, abbandonando se stessi, per ritrovarsi a fine processo in una dimensione che è ancora più consapevole. Più lucida.
Laura Di Corcia
Laura Di Corcia si è laureata in lettere all'Università di Milano. Dopo un paio di esperienze all’estero (a Berlino e a Los Angeles) è ritornata nella Svizzera italiana dove lavora come giornalista free lance per diverse testate tra le quali si ricordano il Corriere di Como (Italia) e il Corriere del Ticino (Svizzera). Ha pubblicato le raccolta e di poesie Epica dello spreco (Milano, Dot.com Press Poesia), In tutte le direzioni (Lietocolle, 2018) e la biografia in forma d'intervista Vita quasi vera di Giancarlo Majorino (Milano, La Vita Felice, 2014; collana Sguardi).
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